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Enrico Vanzina, Totò, Eduardo e la Napoli contemporanea

Enrico Vanzina “figlio d’arte”, sceneggiatore, scrittore, giornalista di successo è  autore di un nuovo romanzo “Una giornata di nebbia a Milano”

Maestro, qual è il comune denominatore tra la sceneggiatura ed il romanzo?

“La modalità di procedimento è la stessa: in entrambi i casi si deve partire da un’idea forte, una trama avvincente. Nel cinema non c’è bisogno di descrivere tante cose quali ad esempio l’espressione del volto di un protagonista perché ti aiutano le immagini tratte dalla macchina da presa, mentre in letteratura bisogna esprimere e descrivere i sentimenti senza mai sfociare nella banalità, avendo cura di salvare stile e linguaggio”

 Saper scrivere rappresenta un talento?

“Sì ma va coltivato, il cervello è un muscolo e come tale va allenato”

In questo momento storico è sempre più frequente la trasposizione audiovisiva di un libro; perché?

“Credo che sia perché in questo periodo i produttori audiovisivi lamentino una certa scarsità di idee e poi può essere certamente utile realizzare un prodotto audiovisivo, la cui idea è tratta da un romanzo già di successo; in tal modo si partirebbe con una marcia in più”

Maestro, se dovesse ambientare un libro a Napoli, cosa immaginerebbe?

“ Io sono legatissimo a questa città che amo e frequento fin da bambino. Steno, il mio papà, era il regista di Totò e di Peppino De Filippo. Ricordo quando da piccoli,  papà ci portava puntualmente  in treno da Roma a vedere tutte le commedie del mito  Eduardo di cui era grandissimo estimatore.  E’ a Napoli, che ho cominciato a frequentare il set con la serie TV “Piedone lo sbirro” di Bud Spencer” Negli ultimi anni ho fatto tanti film ambientati a Napoli con attori che io amo molto quali Salemme, Buccirosso, Tosca D’Aquino, Serena Rossi, Biagio Izzo. Personalmente ho una cognizione ben precisa sulla cultura partenopea da poter asserire che mi riuscirebbe molto facile scrivere un romanzo su questa splendida città. Ho trascorso tutte le mie vacanze da bambino e da adolescente ed anche da adulto a Capri e ad Ischia, sono affascinato dal modo di pensare della sua gente, del modo di affrontare la vita con leggerezza, umorismo ed estrema capacità reattiva, dalla naturalezza con cui si interfacciano il ceto alto con quello basso, l’umorismo e la tragedia, la fame e l’opulenza, l’odio e l’amore.”

Ha degli amici partenopei a cui è particolarmente affezionato?

“Sì, mi sono rimasti nel cuore Luciano De Crescenzo e Peppino Patroni Griffi che mi ha fatto scoprire come nel linguaggio, nella cucina, nella cultura in generale partenopea ci sia una forte contaminazione del mondo medio-orientale”

Maestro qual è  il suo rapporto con la musica napoletana?

“Straordinario, io sono un musicista mancato, suono benissimo il pianoforte fin da ragazzino, tant’è che da giovane facevo anche piano bar; mi reputo un grande estimatore della musica napoletana al punto che io e mio fratello Carlo alla fine del film “Caccia al tesoro” abbiamo volto fare un omaggio a Pino Daniele; sono amico del maestro Sciarro, artista epigono di Pino Daniele ed  ho lavorato con Nino D’Angelo in un film”

 La scomparsa di suo fratello Carlo ha provocato un vuoto incolmabile

“ Sì, non a caso subito dopo la sua morte ho scritto un libro “Mio fratello Carlo” che narra non la sua vita di brillante regista ma gli ultimi due anni di vita dell’uomo che scopre di avere un brutto male”

“La scrittura ha quindi anche un effetto terapeutico?

“Non credo che mi  sia servita a lenire il mio profondo dolore; il libro ha avuto grande successo in tutta Italia, ma ogni volta che l’ho presentato si sono riaperte le mie grandi ferite”

Cosa le manca di suo fratello Carlo?

“Il quotidiano; la nostra chiacchierata mattutina in cui prima di dedicarci al lavoro, parlavamo di cronaca, di attualità, confrontandoci su più argomenti. Io e mio fratello eravamo caratterialmente e fisicamente profondamente diversi ma avevamo la stessa visione del mondo, lo stesso modo di concepire la vita e di raccontarla; forse  questa era la nostra forza che ci ha permesso di lavorare per tanti anni tutti i giorni insieme in armonia e con rispetto reciproco, senza mai discutere”

Maestro Vanzina la sua più grande dote è l’umiltà

“ Questa caratteristica  ce l’ha trasmessa papà che ci ha sempre detto, di non montarci mai la testa di fronte al successo di un film, di camminare con i piedi per terra;  bastava che due lavori successivi non andassero bene perché svanisse tutto in una bolla di sapone”

Lei ha qualche rimpianto?

“Sì, da giovane volevo una storia d’amore con Jane fonda, mentre Carlo sognava Brigitte Bardot e poi avrei voluto attraversare la Russia con la Transiberiana. Quando Carlo, essendo lui molto tifoso, era malato, avrei voluto che la squadra di calcio “Roma” vincesse lo scudetto che purtroppo non è arrivato. E poi, ho anche qualche rimpianto personale, perché anche io qualche cattiveria l’ho fatta e invecchiando si può finalmente dire la verità ed ammettere di avere commesso errori. Io ho sbagliato e ringrazio chi mi ha perdonato. Ho fatto anche io del male e mi pento di ciò anche se il pentimento non va esibito”.

Il suo futuro nel cinema?

“ Quando Carlo se ne è andato mi sono avvicinato al mondo di Netflix  ed ho avuto molto successo con “Sotto il sole di Riccione”. Le piattaforme sono un mondo nuovo per noi “vecchi dell’audiovisivo” ma anche se complicato, danno grandi soddisfazioni professionali”

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